La favola delle arachidi
In una casetta piccina e accogliente vivevano due fratellini di dieci e otto anni. La casa era veramente piccola, al massimo per tre, eppure i bambini avevano quattro fratelli, tre cagnolini, cinque galline, una mucca e una mamma e un papà. Il più piccolo aveva gli occhi dolci come il burro e indossava sempre una casacchina a righe bianche e blu; era timido e un grande osservatore, e ammirava molto il fratello maggiore.
Lui, dallo sguardo scavatore, non aveva timore di niente e amava l’idea di conoscere il mondo quasi quanto amava la camicia che indossava nei giorni speciali; i giorni speciali, però, non erano feste né compleanni, ma quando lui e il suo fratellino partivano per le loro avventure. Allora, il più grande indossava la sua camicia e lasciava gli ultimi due bottoni aperti, come fanno i grandi.
Quel giorno, avevano deciso di andare in avanscoperta nel quartiere a nord della loro casa: incredibile, non ci erano mai stati! Si infilarono le scarpe, si armarono di entusiasmo il primo e di coraggio il secondo, afferrarono un sacchetto di arachidi nel caso gli fosse venuta fame e varcarono la porta di casa.
Durante le loro missioni incontravano sempre tante persone, a volte con visi gentili, a volte con volti un po’ ambigui; <quel signore mi fa paura>, diceva a volte il più piccolo, <non preoccuparti> rispondeva l’altro, <ricordarti che non possiamo giudicare solo dall’apparenza, dobbiamo sempre conoscere per capire>. <ma io non voglio parlare con chi mi fa paura>, rispondeva allora il piccolo, e di nuovo <penso sempre che quando incontro uno sconosciuto può essere buono o cattivo>.
Il più grande, la cui sfrontatezza era un pregio e anche un difetto, provava a incoraggiare così il fratello: <quando abbiamo paura di conoscere il mondo è proprio perché non lo conosciamo: non pensare che il male è così ovunque come dici, le persone sono più buone di quello che credi. E se incontri una persona che non ti piace, ricordati sempre chi sei tu, quali sono le cose importanti per te, e gira le spalle. E poi pensa, anche tu potresti far paura a un bambino più piccolo di te!>.
Nel frattempo, continuavano a camminare e a vedere facce, colori, a sentire suoni, a percepire odori. Ad un certo punto, davanti a un bazar di dolci che li attirava con un profumo buonissimo, incontrarono un bambino di nome Rami; Rami aveva undici anni e aiutava la mamma nel bazar: era già un bambino grande! Le facce curiose ed eccitate dei fratellini gli avevano ispirato fiducia e così decise di presentarsi.
Ciao, mi chiamo Rami, e voi?
Ciao Rami, noi siamo Esim e Rakta, veniamo da laggiù! disse Esim, indicando la vallata della collina che stavano risalendo.
Wow, è tanta strada! E dove state andando?
Noi siamo esploratori senza meta, volevamo vedere questa zona!
Esploratori? Che bello, anche a me piacerebbe esserlo… sapete, proprio in fondo a questa strada c’è un piccolo bosco dove sogno di andare da quando avevo tre anni, ma la mia mamma dice che è troppo pericoloso andare lì da solo.
Be’, allora è il tuo giorno fortunato – disse Esim, col suo fare accattivante – vieni con noi! Questa storia del bosco mi piace proprio.
La mamma di Rami, vedendo che il figlio aveva fatto amicizia, non esitò neanche per un secondo: <l’unione fa la forza>, gli raccomandò.
E così si avventurarono nel bosco e scoprirono ben presto che si trattava di un vero e proprio pezzetto di giungla, proprio fuori dalla città.
Esim e Rami, totalmente presi dall’euforia, avanzavano lungo un sentiero più immaginario che realmente tracciato ed era come se sentissero che c’era qualcosa da scoprire. Rakta si sforzava tanto di stare dietro ai loro passi svelti ed euforici; in cuor suo condivideva questo presentimento di star facendo l’esperienza, forse, più bella della sua vita, ma la ragione gli diceva che in fondo erano solo bambini, e che quello non era il posto per loro.
Non ci volle molto affinché, con qualche spina nelle gambe e qualche foglia sui capelli, arrivassero a una piccola radura dove potersi fermare per bere un goccio d’acqua e togliere qualche ramoscello dai vestiti.
Ma noi abbiamo le arachidi! – disse d’improvviso Esim – mangiamone un paio a testa così riprendiamo le forze.
La foga che li aveva spinti a camminare fin lì non gli aveva permesso di soffermarsi ad ascoltare i suoni della natura, quindi non avevano la minima idea di quali animali potessero essere nelle vicinanze. Il mistero fu presto svelato da una vivace scimmietta che non aveva potuto resistere al profumo delle arachidi che i tre bambini stavano sgranocchiando; però, c’è un però: la scimmietta sembrava gradire anche lo zainetto di Esim, uno zainetto molto speciale perché glielo aveva regalato Rakta per il suo compleanno vendendo proprio le tante amate arachidi lungo la strada, per qualche settimana.
I tre, di conseguenza, non potevano non mettersi a rincorrere la scimmietta che, furtiva e rapidissima, si destreggiava tra gli alberi saltando da un ramo all’altro. Il più concentrato era, ovviamente, Esim: era una questione di principio, oramai.
Esim, guarda! – gridò a un certo punto Rakta.
No, aspetta, non posso perderla di vista! – rispose lui.
No, guarda!! – gridarono all’unisono Rakta e Rami.
Davanti a loro, un paese: un paese di scimmie.
Decine e decine di scimmie che si arrampicavano su antiche colonne, si abbarbicavano su ruvidi muretti e si sdraiavano sui resti di quelli che un tempo, con molta probabilità, erano stati i frontoni di un tempio.
Il gruppo rimase lì, immobile, per quelle che a loro erano sembrato ore – e forse lo erano davvero state.
Tentavano di contare le scimmie, ma era impossibile: erano troppe e non stavano ferme un attimo! Tentavano di capire cosa fossero quelle rovine ma erano bambini, il loro compito era giocare, c’era tempo per diventare esperti di storia. E così, iniziarono a inventare una storia tutta loro, stabilendo a quanti anni prima risalissero quelle costruzioni, che cosa potessero essere, e cosa fosse successo.
Il processo creativo, si sa, quando inizia può durare ore, ed effettivamente si era d’improvviso fatto buio.
Non pensavo che ci avremmo messo così tanto – disse Esim, con tono preoccupato – ora come ritroviamo la strada? Forse ho sbagliato a portarvi qui…
Rakta, che mai aveva visto il fratello così impaurito, prese la parola: <vi riporto io a casa!, <tu?> rispose Esim, stupito. Non che non si fidasse del fratellino, ma era piccolo, pauroso e spesso doveva essere convinto a fare le cose; era lui quello coraggioso e determinato.
Ad ogni modo, neanche il tempo di rispondere e Rakta si era già incamminato, seguito da Rami che invece vedeva in lui una persona che trasmetteva sicurezza. Rakta procedeva a passo svelto e deciso, senza neanche rispondere alle mille domande del fratello che lo tartassava chiedendogli <ma sei sicuro?>, <è la strada giusta?>, <come fai a esserne certo?>. Senza nemmeno accorgersene, si ritrovarono in men che non si dica davanti al bazar di dolciumi.
Ma come hai fatto? – chiese definitivamente Esim.
Semplice – rispose l’altro – rimanevo sempre un po’ indietro perché ero occupato a lasciare dei segni sugli alberi, così avremmo ritrovato subito la strada.
Ma come ho fatto a non pensarci! – disse Esim.
È semplice anche questo, fratellone: tu mi hai detto di tenere sempre a mente chi sono io; ecco, io sono cauto e prudente, e senza di te non avrei il coraggio di avventurarmi nella giungla, ma proprio perché sono cauto e prudente sono anche quello che ti ci tira fuori, dalla giungla. Siamo chi siamo anche in relazione agli altri, come tu mi insegni, e non dobbiamo avere paura di mostrarci per come siamo ma, anzi, dobbiamo sempre tirare fuori il meglio di noi, perché solo così possiamo vivere avventure come quella di oggi.
I due fratelli, da quel giorno, sono diventati due di un trio di esploratori pronti all’avventura.
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