I guardiani della musica e dei colori



In un villaggio sperduto delle Amazzoni, lontano dalla città, c’era un bambino di nome Jejè.

Jejè era un bambino allegro e curioso del mondo, un mondo che ai suoi occhi era molto grande, quasi immenso. Questa sua voglia di voler esplorare in lungo e in largo lo portava ad essere sempre un po' assorto nei suoi pensieri, distaccato dagli altri bambini.

Jejè viveva ai piedi di una grande montagna dove il padre, Renko, lavorava come taglialegna e la nonna, la vecchia saggia, andava alla ricerca di piante, erbe e bacche. La mattina Jejè studiava e il pomeriggio faceva lunghe e stancanti camminate con la nonna e il papà. 

Un pomeriggio, lui e la nonna si diressero verso gli antichi archi, dove cresceva una pianta chiamata Nimbi, usata per creare delle caramelle curative. Durante il tragitto, Jejè era molto curioso ma, nonostante questo, era sempre silenzioso, tanto che la vecchia saggia cercava di parlare con lui, ma riceveva solo risposte secche.

Arrivati ai grandi archi Jejè rimase a bocca aperta per via dei colori, delle forme e della grandezza di quelle pietre. Durante la raccolta delle foglie iniziò a piovere e a tirare molto vento e fu a quel punto che la nonna decise di fermarsi sotto gli archi per la notte. Era la prima volta che Jejè dormiva fuori, e non era molto tranquillo. 

Arrivò la notte e intorno al fuoco la nonna iniziò a raccontare storie risalenti al passato, ai guerrieri, alla tribù e le loro usanze; mentre ascoltava, la voce della nonna, come fosse una melodia, si faceva sempre più lontana, finché, provato dalla camminata, il ragazzo si addormentò.

“ehi svegliati! Forza pigrone, alzati!”. Jejè aprì gli occhi e si ritrovò davanti un esserino piccolo e peloso, morbido come una nuvola, di colore rosso fuoco.

“ma chi sei?” disse Jejè.

“come chi sono? Io sono Do, il guardiano di uno dei tuoi mondi interiori e tu devi aiutarmi a trovare gli altri guardiani”.

Jejè rimase a bocca aperta. Pensando di aver immaginato tutto si stropicciò gli occhietti e, riaprendoli, si ritrovò Do, seduto davanti a lui. 

Il ragazzo si trovava in una stanza illuminata solo da una luce fioca: quella emanata da quell’essere stravagante che diceva di chiamarsi Do.

“cosa dovrei fare io? A dire la verità ho anche paura, qui è tutto così buio e poi come posso aiutarti a trovare gli altri che stai cercando?” disse il ragazzo con voce indecisa.

Do rispose con una vocina triste: “ciò che dobbiamo cercare sono gli altri sei guardiani che si sono nascosti, o meglio, si sono spenti; loro hanno perso la loro capacità di brillare e di essere presenti. Dobbiamo fare una cosa semplice: bisogna trovare un bastone e sederci, respirare e sentire quali suoni arrivano alle tue orecchie. Una volta compresi i suoni devi disegnare, a terra, lo strumento musicale che, secondo te, lo ha generato”. Mentre parlava, Do prese qualcosa da terra e lo mostrò a Jejè.

“vedi? Io ho questa chitarra che, se la pizzico, emette il mio suono”.

In quel momento il ragazzo, con un faccino triste, rispose a Do: “ma io non conosco la musica e non so neanche disegnare, ho sempre e solo letto, ascoltando gli altri parlare”.

In quel momento, Do fece due passi e, allungando la sua zampetta, diede in mano a Jejè un bastoncino chiedendogli di provare e dicendogli che non esiste un giusto e uno sbagliato. Dopo un attimo di esitazione Jejè accettò, si sedette a terra e si concentrò.

Poco dopo sussultò e disse: “sì ho sentito da lontano, da dietro di me, un suono simile a quello della tua chitarra. Era… era come se le corde della chitarra venissero strusciate… mmm... ho capito! È un violino Do, è un violino!”

Di getto Jejè disegnò a terra il violino, illuminato dal fuoco di Do, e tutto d’un tratto vide una luce in lontananza, nella direzione dalla quale proveniva il suono. Al che si udì: 

“Grazie! Grazie ragazzi! Era da tanto che non ritrovavo la strada di casa. Piacere di conoscerti Jejè, io sono Re, colui che insieme a Do suona le tue emozioni”.

Il ragazzo, sempre più incredulo, senza dire una parola, sorrise e si sedette a chiedendo nuovamente a Do e a Re di fare luce a terra.

 Il ragazzo chiuse gli occhi e iniziò a respirare. 

Dopo una decina di minuti aprì gli occhi e con una voce flebile chiese a Do e a Re di avvicinarsi. Una volta avvicinati al ragazzo, i due guardiani videro che a terra erano stati disegnati un sole e una luna. 

“Jejè, cosa hai disegnato?”, chiese Re.

“il sole e la luna, non so perché ma la musica che ho sentito viene da loro… ma non capisco che strumenti musicali sono”. 

Mentre Jejè rispondeva, Do alzò un po' di polvere che finì sul volto del ragazzo, che per grattarsi il naso fece cadere il bastoncino, che finì sulla mezza luna. Una volta grattatosi il naso, si accorse che alcuni rametti del bastoncino erano finiti anche sul sole e che, sollevandolo da terra, aveva creato delle linee ben specifiche. Quattro sulla luna, che univano le due punte, e una sul sole.

Tutto d’un tratto, mentre lo sconforto aumentava negli occhi del ragazzo, in lontananza iniziarono ad apparire due colori: il verde e il giallo. Da quei due colori, cominciarono ad avvicinarsi altri due esserini bizzarri, uno verde e uno giallo. Si avvicinarono chiacchierando e fu subito chiaro che avevano qualcosa di diverso dagli altri; erano più tranquilli e meno irruenti. Arrivati davanti a loro si presentarono con il nome di “Mi”, quello giallo, e di “Fa”, quello verde.

Entrambi ringraziarono Jejè, che disse loro di non aver fatto nulla e di non conoscere nessuno strumento che si riconducesse al sole e alla luna.

 Scoppiarono tutti a ridere e anche Jejè li seguì a ruota.

Tra le risate, Mi disse che il sole rappresentava il tamburo e la luna l’arpa, e aggiunse: “questi sono due strumenti contrapposti come, appunto, il sole e la luna, in quanto uno deve essere battuto con forza, mentre l’altro basta sfiorarlo per avere una melodia profonda e delicata”.

Aggiunti Fa e Mi, Jejè aveva ritrovato quattro guardiani su sette, che avevano reso quella stanza buia piena di colori, e l’ambiente accogliente, come per magia. Nonostante questo, il ragazzo continuava ad essere molto silenzioso e parlava solo quando gli venivano poste delle domande, come era suo solito fare e cosa che tutti, al villaggio, gli rimproveravano. 

Dopo un attimo di riposo Jejè tornò a sedersi insieme ai quattro pelosetti, curioso di scoprire qualcosa di più su Mi e Fa. 

Iniziò a fargli delle domande, ma i due guardiani lo invitarono a portare prima a termine la ricerca degli ultimi tre e, insieme, avrebbero soddisfatto le sue curiosità.

Jejè rimase colpito dalla serietà del guardiano Mi e non aggiunse altro.

Ascoltava, ma non riusciva a percepire nessun suono speciale; tuttavia, osservando meglio le ombre che si creavano grazie alla luce dei guardiani, ne intravide una che si ripresentava in continuazione, quella di un serpente, animale che la nonna citava sempre nei racconti del passato. Stupito di queste ombre Jejè decise di disegnare un flauto a terra e, non appena staccò il bastone dal terreno, iniziò a sentire qualcosa. 

Era il suono di un flauto.

Tutti rimasero sbalorditi di come il ragazzo fosse arrivato a disegnare il flauto e, soprattutto, del fatto che avesse associato lo strumento e l’animale; il ragazzo era curioso di incontrare il guardiano, che apparse di lì a poco.

Arrivò camminando. Una camminata diversa da quella di Mi e Fa, sicura e decisa; la sua era timida, incerta e insicura.

Raggiunti gli altri, si sedette e disse solo il suo nome: Sol. Anche questo guardiano aveva le stesse fattezze degli altri ma aveva un colore spento, un blu che risultava sottotono e poco brillante. 

Seduti in cerchio, dopo qualche istante di silenzio, Mi prese la parola:

“caro Jejè, mancano ancora due guardiani ma solo uno strumento da disegnare”. 

Incuriosito, Jejè lo guardò e gli disse con fermezza e prontezza che aveva già trovato il nuovo strumento: “il campanello”, rispose.

Tutti sussultarono e chiesero in coro “come mai!?”.

“è un legame molto profondo quello che ho con questo strumento, un anziano del villaggio me ne ha regalato uno e io lo porto sempre con me. Lo faccio suonare ad ogni scoperta o intuizione che ho nel corso del tempo”.

Finito di parlare, tutta la stanza si colorò di un indaco e un viola brillanti; dal soffitto della stanza, che con tutti quei colori sembrava un cielo durante l’alba, scesero altri due pelosetti: uno indaco dal nome “La” e uno viola dal nome “Si”.

Si era il più anziano neell’aspetto ed era diverso dagli altri. Arrivati vicino a loro, presero posto nel cerchio e fu proprio Si a dire a Jejè che lui esiste grazie alla scoperta di tutti gli altri guardiani e che i suoi aiutanti nel mantenere gli equilibri delle note e dei colori erano Fa e Mi, che si occupavano rispettivamente della direzione della grande orchestra e della storia dei colori e delle note.

A quelle parole si accodò Mi, congratulandosi con il giovane, spiegandogli però che c’era ancora una cosa da sistemare con Sol.

“Sol rappresenta la tua capacità di comunicare, di esternare e far comprendere agli altri il mondo che hai dentro. Non devi aver paura di raccontare, fare domande o dire la tua, tu sei perfetto così come sei e sei tu il creatore del tuo mondo, in cui ci sono tutti i colori, tutte le note musicali e tutti i paesaggi che vuoi. Questo è il tuo mondo, il tuo castello interiore che sorregge sette mondi, ognuno collegato all’altro; comprenderlo ti porterà ad essere padrone del tuo destino. Ora svegliati, vai e conquista il mondo là fuori, sai che noi siamo qui e puoi venirci a trovare quando meglio credi. Vivi, assapora e goditi tutto ciò che la vita ti dà: questa è la bellezza della tua personalità”.


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